Medicina e farmacia

Per tutto il medioevo la pratica medica - dalla diagnosi alla cura - non è molto diversa da quella di stampo classico e le descrizioni delle malattie sono a volte piuttosto curiose: si trova ad esempio l’espressione «gli è caduta la gocciola sì che è perduto da un lato» per indicare l’apoplessia, oppure «il male del granchio» in riferimento ai tumori. Nonostante quelle che appaiono come scarse conoscenze ai nostri occhi, la maggioranza dei malati guariva e lasciava l’ospedale in buona salute.

I rimedi usati si possono ricavare dalle registrazioni degli acquisti: olio di ginepro, trementina, ragia, pece greca, mastice, allume di rocca, semi di astragalo, semi di lino e cumino, verderame, sale ammoniaco, canfora, mercurio ecc. Venivano preparati vari unguenti o pillole con miscugli di numerosi ingredienti, come ad esempio la triaca, preparata con vipere, pane, miele ed erbe, nata come antidoto al veleno; o il sugo rosato, lassativo a base di rose rosse, scamonea, berberis, spodio e zafferano.

Si praticavano anche salassi con le sanguisughe o tramite incisioni, rimedio molto in voga fino ai tempi moderni, e si utilizzava un locale adibito a sauna - la stufa, presente sicuramente al Dolce - per curare i reumatismi e l’artrosi.

Un’ottima cura veniva poi fornita anche semplicemente dal cibo: a volte era sufficiente qualche giorno di riposo e sana alimentazione per rimettere in sesto persone semplicemente debilitate a causa della povertà.

Dal '500 venne stabilito che medici e infermieri dovevano attenersi alle indicazioni del Ricettario fiorentino per la composizione, preparazione e conservazione dei farmaci. Il testo venne pubblicato in numerose successive edizioni fino al '700 inoltrato ed era diffuso in tutta Europa. Si rifaceva alle nozioni di medicina classica, in particolare araba: Dioscoride, Galeno, Plinio, Serapione, Mesue, Avicenna, Rhazes.