Motivi dell'abbandono

6. Biglietto allegato al contrassegno di Maria AngelaDiversi sono i motivi che costringono all’abbandono di un bambino: povertà, malattia, imperfezioni fisiche, illegittimità, mancanza di latte materno in concomitanza con l’impossibilità di riuscire a sostenere il pagamento di una balia. A ciò è necessario aggiungere anche la terribile pratica dell’infanticidio, da ritenersi per alcuni tra le cause della diffusione nel tardo Medioevo proprio di luoghi di accoglienza per i gettatelli. 

Questo complesso fenomeno, ricostruibile puntualmente dalle carte, ha visto nello svolgersi del tempo alcune modifiche nelle modalità della pratica dell’abbandono.

Nel Trecento e ancora nel secolo successivo il bambino non viene lasciato prevalentemente agli usci degli spedali, bensì in luoghi d’incontro frequentati: incroci di vie, ponti, mulini, sagrati delle chiese o dei conventi, forni, osterie, porte d’ingresso alla terra di Prato, come pure fuori dalle case dove è ben noto abiti una donna con un neonato, che potrebbe allattare un altro infante. Si tratta, in genere, di luoghi dove qualcuno in breve tempo avrebbe potuto rinvenire il piccolo occupandosene; luoghi tendenzialmente al sicuro pure dagli attacchi dei famelici animali randagi, come i davanzali delle finestre.

Non sempre, però le carte documentano queste attenzioni. In alcuni casi, i bambini vengono lasciati nel folto della vegetazione, “[…] alla Romita trall’erba”: queste cercate circostanze aumentavano per l’infante le possibilità di morte, forse addirittura auspicandola.

Nel Cinquecento è attestata l’usanza di abbandonare i piccoli nella pilla, una sorta di acquasantiera, o piccola culla, posta fuori dell’ingresso dell’ospedale. In essa venivano deposti non solo neonati in fasce, ma anche bimbi cresciuti: questi, in particolare, erano vittime delle innumerevoli disgrazie e fallimenti familiari, ma anche di gravi incidenti fisici invalidanti, come importanti bruciature o amputazioni di arti.

Nel corso del secolo successivo, venuto meno l’uso della pilla, il Misericordia e Dolce si dota di una finestra ferrata, attraverso la quale, per ovvie motivazioni, possono essere introdotti solo infanti.  L’ottocentesca ruota è solo un’evoluzione dell’inferriata. La finestra viene dotata di un marchingegno rotante entro cui il piccolo viene inserito; azionato il meccanismo, si attiva automaticamente un campanello che allerta la balia di casa in attesa di nuovi arrivi.

2. ASPO, MeD, 5190, Rubrica

Dal momento dell’ingresso in ospedale tutta la vita del bambino viene registrata, fissandola tra le carte.

Battezzandolo gli viene dato un nome e, per volere granducale, dal 1817 viene coniato un cognome per ciascuno.

I piccoli rimangono pochi giorni tra le mura dell’ente assistenziale: in breve tempo viene loro assegnata una balia, che si occuperà del loro svezzamento e della loro crescita. La documentazione fornisce abbondanti informazioni su queste figure femminili: dalla posizione geografica del loro domicilio, ad esempio, possiamo intuire la fitta rete di relazioni tessute dall’ospedale nei territori limitrofi, relazioni che geograficamente si estendono ben oltre gli odierni confini della provincia di Prato, sconfinando nel Mugello, in tutti i comuni del pistoiese, fino ad arrivare alla più lontana Lucchesia. Un bambino poteva essere affidato alle cure di più balie, anche in relazione a determinate fasi della sua crescita; di contro, una balia poteva aver accudito più bambini.

Il loro compito si esauriva nel tempo in cui si riteneva il piccolo pronto ad affrontare in autonomia la propria vita: a partire dal Settecento questo momento era fissato al compimento dei 10 anni d’età per i ragazzi e dei 14 per le ragazze.